Galline, uova ed Equitalia: l’incubo di un ex-allevatore

24 Febbraio 2015

“Confidiamo nella giustizia perché il nostro cliente Gian Giacomo Comirato possa ottenere l’annullamento degli attivi impositivi subiti a causa di un palese errore di valutazione commesso dalla pubblica amministrazione”. Lo affermano gli avvocati Luca Stramare (Pordenone) e Loris Tosi, titolare dell’omonimo studio legale tributario (con sede a Mestre), che stanno seguendo il caso, da tempo giunto alla ribalta nazionale, dell’ex imprenditore agricolo trevigiano Gian Giacomo Comirato, 37 anni, il quale si è visto recapitare nel 2008 da Equitalia una cartella esattoriale per un importo di quasi 3 milioni di euro di multa (oggi, con gli interessi, la cifra è salita a 4 milioni), a seguito – secondo la difesa – di una serie di provvedimenti errati.

Gian Giacomo Comirato, allevatore diretto con circa 20.000 galline ovaiole nell’azienda agricola con sede a Porcia, cessata nel 2005, è stato ‘soppesato’ fiscalmente alla stregua di un commerciante di uova, prodotti che il cliente dello studio Tosi effettivamente rivendeva direttamente alle imprese, alcune anche di grandi dimensioni.

“La madre di tutti gli errori – a giudizio dei legali -, è proprio rappresentata dal fatto che la Guardia di Finanza ha effettuato un accertamento sull’attività del nostro cliente nel 2007, ben due anni dopo che lo stesso l’aveva chiusa. Durante l’ispezione ai capannoni di Porcia, quindi, le Fiamme Gialle non trovarono alcunché, e ritenendo che il nostro cliente non avesse mai avuto galline – precisano -, hanno rivisto i suoi bilanci secondo i regimi fiscali dei commercianti, decisamente più elevati di quelli di un allevatore diretto”.

Da allora, Comirato, operaio part-time a 600 euro al mese, sta vivendo una vita da incubo. Dopo essere stato suo malgrado coinvolto, con successiva archiviazione, nell’ambito di un’inchiesta che aveva interessato una delle aziende che era solito rifornire di uova, oggi patisce la difficilissima condizione di “pignorato” per quasi 4 milioni di euro, vedendosi decurtare il salario di un quinto ogni mese. Una multa contro la quale, tra l’altro, non può ricorrere per scadenza dei termini.
“L’originario interesse fiscale alla raccolta delle imposte – afferma l’avvocato pordenonese Luca Stramare – si è tramutato nella ‘uccisione fiscale’ di un contribuente, il quale non potrà mai soddisfare l’ingiusta richiesta dell’ufficio”.

Secondo i legali, “bisogna a questo punto considerare quale sia il reale interesse dell’ufficio stesso: se mantenere in vita un insieme di atti che generano una pretesa tributaria sproporzionata e che non verrà mai soddisfatta, oppure ricostruire un rapporto di collaborazione e di legalità con il contribuente. Ci sono molteplici ragioni – conclude – per cui l’Ufficio debba procedere con un autonnullamento degli atti impositivi finora subiti dal nostro cliente”.

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